Nanga Parbat 8126, il primo Ottomila della guida alpina peruviana Cesar Rosales

Un scalata che vale il riscatto sociale

di Alberto Peruffo, alpinista, scrittore, attivista per i diritti civili e collaboratore di Montura

Ce l’abbiamo fatta.
Il “nostro” sogno, soprattutto quello di Cesar – salire un ottomila – l’abbiamo vissuto e realizzato, fino in fondo. Pochi mezzi, tanto cuore, molta strategia. Io ho lavorato molto dietro le quinte, dall’Italia fino al Campo Base e oltre; Cesar sopra le quinte, fino alla cima, con una salita davvero importante. Fatta al momento giusto, con tempi perfetti e compagni davvero forti. Molto più di me.
Le 6 guide valdostane guidate da Marco Camandona. Per non parlare degli argentini e di altri compagni che hanno collaborato, tutti insieme, nonostante le diversità. Permettendo ampia libertà nelle scelte difficili che abbiamo fatto. Soprattutto il giorno in cui è stato deciso di tentare la cima.

Oggi siamo a Gilgit (e non a Chilas), rientrati ieri direttamente dal Campo Base. Una tirata. 3000 metri di dislivello in discesa e molte ore di auto… scassate, sui fianchi del Nanga e sulla KKH, la mitica Karakorum Highway. Verso la Cina. Ci aspetta un giro sui territori del nord, nella valli Hunza e Yasin, fino a Ishkoman, e poi la meravigliosa Karimabad, la Valle della Pace del Principe Karim. Per riassaporare ricordi di spedizioni precedenti (Rakaposhi-Batura 2005 e Chiantar 2000) di cui voglio far partecipe Cesar. Non solo. Amici pakistani da salutare, che mi attendono, dopo ventidue anni.

Sulla notevole salita di Cesar al Nanga Parbat, densa di significati non solo alpinistici (in poco più di un giorno è salito e sceso al Base, facendo da spalla al fuoriclasse Francois Cazzanelli), ma anche sociali (la storia di Cesar è davvero speciale, dalla nativa Cordillera Negra al suo diventare Guida Alpina all’interno del percorso Guide Don Bosco 6000 ideato da Giancarlo Sardini presso il Centro Andinismo Renato Casarotto di Marcarà); sul mese che abbiamo vissuto ai piedi del Nanga, dei suoi imprevedibili movimenti-turbamenti, a partire dal soffio di un’enorme valanga che la seconda notte ci ha portato via la tenda mensa (recuperata 100 metri più sotto), mentre noi eravamo aggrappati all’interno delle nostre tende… e poi… la valanga sullo Sperone Mummery caduta il giorno successivo, indescrivibile; fino ad arrivare alla settimana in cui siamo stati bloccati da una nevicata eccezionale di quattro giorni, intensissima, che ha quasi sepolto il Base e sepolto del tutto il Campo 1 appena montato, con la maggior parte delle tende rotte (la mia MSR nuova, collassata); per non dire della grande e diversa umanità trovata (dagli amici vicentini di vecchia data all’altra fuoriclasse – tuttavia fuori anche dall’alpinismo comunemente inteso – la norvegese Kristin Harila – che ho intervistato appena scesa dalla sua velocissima salita con ossigeno e squadrone di sherpa per fare tutti gli ottomila in un anno e far valere la ragione delle donne… ma anche per avere materiale esclusivo per il mio studio su “alpinismo e neocolonialismo”); per infine chiudere con l’operazione di soccorso sul muro Kinshofer ad un alpinista italiano atipico, iniziata da Cesar al buio mentre era al Campo 2 con altri compagni; senza dimenticare i libri "strani" che ho letto e fatto leggere (avevo con me una minibiblioteca cartacea) – di tutto questo incredibile mese qualcosa racconteremo o scriveremo quando ritorneremo (con qualche sorpresa anche per i miei compagni attivisti)…

Intanto buone cose a tutti e viva Cesar e l’alpinismo come piace a noi, fatto di solidarietà e libertà.

Alberto Peruffo
Gilgit, 9 luglio 2022